Essere lombardisti in un mondo globalizzato

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Una delle tante critiche superficiali che vengono mosse a noi in quanto a lombardisti è quella secondo la quale i nostri ideali sarebbero inutili in un mondo globalizzato. A tal proposito una delle domande più ricorrenti che ci vengono fatte  è “ma come sperate di creare una Lombardia indipendente quando gran parte, se non la maggioranza degli abitanti del Nord Italia, sono o figli di meridionali o immigrati extraeuropei?” O peggio ancora “ma che senso avrebbe una Lombardia indipendente che ora siamo tutti in Europa e quindi dovremmo pensare a competere con le altre potenze mondiali?”

Di solito chi fa  queste domande ignora una cosa fondamentale: per noi lombardisti la creazione di un’etnostato lombardo etnicamente omogeneo non rappresenta tanto un’unico obiettivo fine a se stesso, ma il modo migliore per sopravvivere come entità etno-culturale proprio nel contesto di un mondo globalizzato che ci ha portati ad essere una minoranza nella terra dei nostri Avi. Terra dei nostri Avi a sua volta sempre più ridotta ad essere una distesa di cemento sovrappopolata ed inquinata, che a tratti si avvicina a ricordare ormai non tanto più il Sud Italia, ma il Sudamerica o l’India.

Si può accusarci infinitamente, e non senza un certo fondamento se fatto in buona fede, di porci un obiettivo irrealizzabile. Tuttavia se il famigerato multiculturalismo e il rispetto delle diversità deve necessariamente essere un imperativo morale del mondo moderno, per quale ragione allora anche solo il celebrare le proprie radici e la propria cultura risulta un privilegio tollerato se lo fanno gli immigrati, mentre invece se lo facciamo noi lombardi, allora ecco che sono pronte dietro all’angolo le accuse di razzismo, di secessionismo e di essere dei nostalgici della Lega Nord della “prima ora”? Сiò che troppo spesso non si capisce è che oltre al sacrosanto amore per le nostre radici, è proprio la globalizzazione, con le sue conseguenze negative, prima tra tutte la società multirazziale, a spingerci ad abbracciare l’etnonazionalismo lombardo, perchè ciò che sta accadendo ora, è proprio una diretta conseguenza della sua mancanza.

In altre parole, se tutti gli altri gruppi etnici presenti nella ormai “cosmopolita” Lombardia possono identificarsi in una propria identità collettiva, per quale motivo non possiamo farlo anche noi, che siamo il popolo nativo di questa terra, che per giunta l’ha resa nei secoli tra le più sviluppate e progredite d’Europa se non del mondo? Anche nel caso in cui decidessimo di concepire l’idea di etnostato lombardo come utopia, non sta scritto da nessuna parte che noi dobbiamo per forza accontentarci soltanto della nostra identità individuale, aspirando al massimo di considerarci italiani/europei/occidentali, senza pretendere  nulla di più per quieto vivere o per paura di ferire qualcun’altro.

Siamo perfettamente consapevoli del fatto di non essere soli al mondo, ma anche in Europa, e di non poterci isolare dagli altri (per quanto di questi tempi possa essere accattivante l’idea di diventare dei sentinellesi cisalpini), però vogliamo comunque avere un nostro posto in questo mondo, senza  il dover scegliere tra l’essere servi, il venire assimilati (da alcuni piuttosto che da altri), o il finire spazzati via. E questo discorso vale anche per coloro che parlano, magari anche in buona fede, di unità europea, come se il volere l’autodeterminazione della Cisalpina negasse a prescindere qualsiasi progetto geopolitico riguardante il Vecchio Continente nel suo insieme. Come se appunto l’Europa fosse sempre stata un blocco indistinto e monolitico e come se la sua stessa essenza e il suo valore non siano legati intrinsecamente anche ai suoi numerosi popoli.

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Quando nasce davvero il popolo italiano?

Ogni volta in cui il “regionalista” medio dibatte con il “nazionalista/patriota italiano” riguardo l’esistenza di un unico popolo italiano, spesso e volentieri manca di esattezza dicendogli che l’Italia esisterebbe soltanto dal 1861, al che il fan del Tricolore di solito lo contraddice tirando in ballo l’Italia Augustea. Altri magari menzionerebbero il Regno Italico medievale il quale però aveva una palese trazione tosco-padana (Langobardia Maior docet), il cui territorio in gran parte si sovrapponeva a quello che di solito all’epoca veniva definito “Lombardia” ed il quale solo per un periodo di tempo relativamente breve conobbe l’unità politica.

Quanto all’idioma dantesco, considerato forse come principale collante dell’italianità,  esso avrà anche ricoperto per secoli la funzione di lingua colta sia nell’Italia peninsulare che in Cisalpina, ma oltre ad aver svolto tale funzione spesso e volentieri assieme a degli idiomi locali o ad  altre lingue foreste (come avveniva con il francese in Piemonte), la sua conoscenza era relegata ad un meno del 3 % della popolazione e questa situazione durò per diversi anni, se non decenni, anche dopo l’unità d’Italia. Se parliamo della genetica delle popolazioni, lo dovrebbero sapere anche i sassi che all’interno dello spazio geografico corrispondente oggi alla Repubblica Italiana, la porzione settentrionale sia sempre stata parte integrante dell’Europa occidentale continentale con influssi mitteleuropei sulle Alpi, contrapposta ad un Centro-Sud palesemente tendente al Mediterraneo orientale, e con la parte mediana a sua volta composta da una Toscana che scolora maggiormente nella Cisalpina, ed il resto che risulta più una propaggine settentrionale del Meridione. Tale situazione è facile da notare pure se parliamo di folklore e di linguistica, basti solo pensare alla Linea Massa-Senigallia che stacca noi lombardi dall’Italia peninsulare, Toscana inclusa, accomunandoci maggiormente ai catalani e agli occitani. Ancora oggi sarebbe alquanto forzato definire uno di Sondrio ed uno di Catania come parte dello stesso popolo, figuriamoci dunque secoli fa.

Da ciò possiamo dedurre che anche se in passato il termine “Italia” veniva comunque usato per indicare un determinato spazio geografico o anche una civiltà legata a Roma antica e al Rinascimento,  sarebbe alquanto assurdo intendere tale termine come un qualcosa legato ad un presunto unico popolo dalle Alpi alla Sicilia.

La verità è che la”nazione italiana” per come la conosciamo oggi si è formata non con Ottaviano Augusto e nemmeno con Dante, Garibaldi, la Grande Guerra o Mussolini, ma negli anni ‘60 del secolo scorso. Proprio da allora abbiamo avuto le cosiddette migrazioni interne e la diffusione capillare tramite la televisione, anche tra gli strati medio-bassi della popolazione, del fiorentino classico, più conosciuto come “lingua italiana stardard”…..dalle Alpi alla Sicilia. E’ stato proprio da allora che le culture locali e le lingue “regionali” (soprattutto le nostre, quelle gallo-italiche) iniziarono ad essere abbandonate perchè viste come un peso ed un relitto di un passato da dimenticare e da lasciarsi alle spalle in nome dell’unità e del progresso. E’ stato da allora che si formò l’unico e “potentissimo” collante panitaliano della nazionale azzurra, dal momento che già Churchill notò che il calcio sia l’unico modo per unire gli italiani. In poche parole laddove Mazzini e il regime fascista lasciarono le cose a metà, la Repubblica Partigiana, la televisione e gli Agnelli, bisognosi della forza lavoro a basso costo (ricorda qualcosa?), praticamente portarono a termine l’intento di creare una nazione artificiale debole, voluta a suo tempo dalla massoneria anglo-francese e che ai giorni nostri torna assai comoda ai vari enti sovranazionali. Nazione che appunto si basa sulla negazione dei veri popoli autoctoni, e soprattutto sulla nostra in quanto a lombardi/gallo-italici, basti appunto pensare alle odierne Milano, Torino e Genova.

A questo punto uno potrebbe ribattere affermando che nessuna nazione si formi in modo totalmente naturale, per il fatto che il processo dell’etnogenesi sia legato intrinsecamente al fattore umano, anche se pure la posizione e la conformazione geografica giocano in ciò un ruolo non trascurabile. Tuttavia ha davvero senso parlare della formazione spontanea e quindi sacrosanta di una nazione, quando nel giro di poco più di un secolo viene imposto dall’alto un sentimento nazionale basato su Roma Antica (la quale non era certo una stato nazionale) e la Lingua di Dante, rimuovendo come inutili ostacoli le naturali differenze “interne” che affondano le proprie radici non solo nella divisione politica della cosiddetta Penisola durata per 1500 anni, ma anche nella sua eterogeneità che era già presente pure in epoca preromana ? La formazione davvero spontanea di una nazione di solito avviene nel corso di diversi secoli in maniera graduale sulla base di diverse popolazioni aventi radici comuni (in questo contesto parlare delle comuni radici indoeuropee che accomunavano i galli cisalpini e i magnogreci è un’pò poco). Certo, succede anche che nel corso di tale processo delle popolazioni di ceppo diverso subiscono il rimpiazzo o l’assimilazione, tuttavia è anche vero che le popolazioni in questione abbiano sempre cercato di resistere a tale processo per sopravvivere, a volte anche con successo, mentre in caso contrario queste popolazioni semplicemente sparirono dalla faccia della terra finendo nell’oblio. Nel caso invece dello stato italiano odierno cosa abbiamo? Abbiamo i “sinistroidi” nostrani che considerano le migrazioni “interne” del secolo scorso, con la conseguente meridionalizzazione della Lombardia, come un primo esperimento di una società multirazziale che avrebbe avuto successo, dimostrandosi in questo più coerenti dei vari fascistoidi. Entrambi vedono nell’estirpazione dei “particolarismi” locali (cosa che li accomuna ai mondialisti odierni che ovviamente però ragionano in scala più grande) come un passo necessario per unire l’Italia, anche se non si capisce bene quale sarebbe la necessità di unire un qualcosa che sulla carta sarebbe dovuto esserci fin dal principio.

Parlando con il senno di poi lo stato italiano odierno non ha fatto altro che snaturare la Lombardia rendendola terra di tutti e quindi di nessuno e non ha nemmeno risolto i problemi del Sud Italia, talvolta aggravandoli pure, e facendoli pesare anche sugli altri, creando così una nazione tanto artificiale quanto mediocre che guarda a caso non conta nulla a livello geopolitico (meno di quanto un tempo contavano Genova, Venezia, o anche Amalfi), che dal punto di vista economico si è fatta superare pure da alcuni paesi dell’Est Europa, e che ora per giunta rischia di essere spazzata via dalle “nuove” ondate migratorie ben più esotiche (complice anche la bassa natalità e l’invecchiamento della popolazione che in Italia sono evidenti, pure se la paragoniamo ad altri stati dell’Occidente odierno).

Sta quindi a voi decidere se abbia davvero senso difendere l’unità d’Italia a tutti costi per opporsi alle conseguenze negative della globalizzazione, o se forse sarebbe il caso di andare fino in fondo difendendo innanzitutto i veri popoli autoctoni che compongono la Repubblica Italiana, nel nostro caso i lombardi.

Ed è proprio per il fatto che i lombardi sono ormai una minoranza quasi scomparsa in molte zone della Lombardia,  e proprio per il fatto che pure culturalmente siamo sull’orlo dell’estinzione, che al giorno d’oggi il definirsi lombardo è un atto rivoluzionario.

 

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I Lombardi di Sicilia

Nella parte opposta della Repubblica Italiana esiste una Lombardia siciliana. Si tratta di alcune isole linguistice gallo-italiche situate nell’entroterra siciliano comprendenti i centri abitati di Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina e Aidone in provincia di Enna e poi San Fratello, Acquedolci, San Piero Patti, Novara di Sicilia, Fondachelli-Fantina e Tripi in provincia di Messina. La formazione di queste isole linguistiche alloglotte risale al periodo normanno, in cui gli Altavilla nel corso del processo che vide la liberazione della Sicilia dal dominio arabo-islamico, favorirono un processo di latinizzazione della Trinacria incoraggiando una politica d’immigrazione di normanni, provenzali e bretoni e non da ultimi anche dei lombardi, con tanto di concessione di terre e privilegi. I coloni lombardi provenivano soprattutto dai territori dell’odierno Piemonte e della Liguria, cosa che ovviamente non ci deve sorprendere affatto, visto il vero significato primigeno del termine “Lombardia”.

gallo-italici di Sicilia
Dalla fine dell’XI secolo, dunque la Sicilia centrale e orientale furono così ripopolate con coloni e soldati lombardi, provenienti da un’area comprendente tutto il Monferrato storico in Piemonte, parte dell’entroterra ligure di Ponente, e piccole porzioni delle zone occidentali di Insubria ed Emilia.

San Fradell

Questo processo segnò in modo significativo la storia della Sicilia, dal momento che da allora la Trinacria venne integrata definitivamente nel mondo latino-cattolico, dopo un lungo periodo in cui essa si trovava sotto la sfera d’influenza greco-bizantina, e dopo quasi due secoli di dominio arabo-musulmano. Secondo molti studiosi, la migrazione di genti lombarde in Sicilia, sarebbe poi continuata nel corso di tutto il XIII secolo.

Enna Castello di Lombardia
A Nicosia, Sperlinga, San Fratello e Novara di Sicilia dove, seppur con diverse sfumature, il gallo-italico (leggi lombardo) è sentito ancora oggi come elemento di identità cittadina, parlato in tutti gli strati sociali, orgogliosamente sfoggiato. Nella foto qui in alto abbiamo il Castello di Lombardia a Enna.

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Putost che nagot l’è mei fai caragnà

Da un punto di vista pratico si tratta di una vittoria troppo piccola ottenuta ad un prezzo troppo alto. Ossia, 7 anni dopo il famigerato referendum consultivo del 22 ottobre 2017 per ottenere un’autonomia relativamente vaga (per rendere la “Pirellonia” una regione a statuto speciale, ricordiamo che andrebbe modificata la costituzione della Repubblica Italiana, cosa che a momenti è più utopica dell’indipendenza della Grande Lombardia), che riguarda principalmente alcuni ambiti fiscali ed amministrativi, con tanto di motivazioni idenitarie che vengono menzionate a malapena.
Però, c’è un però…..la reazione dei fanatici italianisti giacobini, primi tra tutti di quelli del PD, che nei fatti è il partito dominante della scena politico-culturale italiana, parla da sé. Anche a questa autonomia apparentemente ridicola, lorsignori si oppongono con tutte le forze, dal momento che l’ascesa dell’identitarismo etnonazionalista cisalpino rappresenta il loro peggiore incubo, incubo che credevano di essersi lasciati alle spalle definitivamente con la degenerazione della Lega ormai ex Nord, la quale da partito delle baionette nelle valli bergamasche, nel corso degli anni, non senza pressioni dall’alto, è diventata la copia più sfigata di Fratelli d’Italia. Ed è per questo che dal loro punto di vista, sono assolutamente coerenti ad opporsi sia ad un trasferimento di alcune competenze riguardanti il territorio alla Regione Lombardia, che a flebili iniziative volte alla tutela della Lingua Lombarda, anche se se si tratta di qualche cartello bilingue in qualche paesotto sperduto.

Non ci vuole chissà quale genialità per comprendere che se le parole “autonomia” e “lingua lombarda” diventeranno un qualcosa di consolidato, accettato dalle masse e ben conosciuto nell’ambito politico, culturale e legislativo, di una regione, aumenterà la probabilità che sempre più persone inizieranno a capire che la Lombardia non è solo una regione dello stato italiano che si estende dal Ticino al Garda, ma che è un qualcosa di più in tutti i sensi, quel qualcosa di più che affonda nella storia del nostro territorio e nelle nostre radici. Un qualcosa che merita la libertà e che deve battersi per la propria esistenza innanzitutto non per una questione di soldi che al massimo può essere soltanto la punta dell’iceberg, ma appunto per un qualcosa di più. Loro questo lo sanno e lo temono, e sta a noi esserne consapevoli, così come sta a noi il non dimenticare mai, che il piccolo passo in avanti di oggi non può e non deve essere un punto di arrivo, ma soltanto l’inizio dell’inizio.

Salud Lombardia!

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La battaglia di Legnano come mito fondatore nazionale

per legnan 2024

La settimana scorsa abbiamo assistito a come l’Atalanta,la prima squadra di calcio provinciale lombarda,  battendo in finale la tedesca Bayern Leverkusen, si sia aggiudicata l’Europa League, entrando così nella storia, rendendo orgoglioso il popolo bergamasco. Vittoria che a suo modo può essere interpretata come un qualcosa di schiettamente lombardo, riguardando appunto i bergamaschi aventi la fama di essere maggiormente attaccati alla propria identità territoriale, cosa che purtroppo difficilmente si può dire per esempio riguardo Milano, la quale ahinoi, ha la reputazione di essere una città internazionale e progressista.

Nove secoli fa, nello stesso periodo dell’anno, il 29 maggio del 1176, abbiamo avuto un’altra, ben più “concreta” vittoria lombarda sui tedeschi, ossia la battaglia di Legnano che vedette le città cisalpine unitesi nella Lega Lombarda, sconfiggere le truppe del Sacro Romano Impero di Federico Barbarossa. In questo modo le città lombarde si guadagnarono una propria autonomia confermata con la pace di Costanza nel 1183, senza però secedere ufficialmente dal Sacro Romano Impero Germanico.

Pur essendo stata questa ricorrenza a suo tempo strumentalizzata dalla propaganda risorgimentale in funzione italianista antigermanica (al punto che Legnano viene citata pure nell’Inno di Mameli), e pur essendo stata resa ufficiale in tempi relativamente recenti in qualità di festa regionale della Regione Lombardia, essa ricopre un ruolo assai marginale nella storiografia italiana ufficiale. Questo ovviamente non senza motivazioni di tipo politico aventi a che fare con la Lega “secessionista”. Del resto non si può negare che la prima Lega Nord di Bossi abbia avuto il merito di “deitalianizzare” questo evento storico, facendolo passare non più come un trionfo italiano sull’oppressore germanico (come faceva il Manzoni parlando degli Asburgo e del Regno Lombardo-Veneto), ma come presa di coscienza dei lombardi che di fronte all’oppressione forestiera hanno trovato la forza di mettere da parte le proprie rivalità interne e di farsi valere di fronte a quello che all’epoca era di fatto l’impero più potente d’Europa. Visione che noi lombardisti condividiamo appieno e che riteniamo che debba essere recuperata perchè va da sè che essa in principio sia valida non solo in quel caso in cui l’oppressione viene da oltre le Alpi, ma anche da sud.

Sia chiaro, non è nostra intenzione mettere sullo stesso piano la Repubblica Italiana con il Sacro Romano Impero (pur essendo esso stato creato da colui che mise fine all’indipendenza del Regno Longobardo)che tra le entità politiche esistite in passato probabilmente è stato ciò che si avvicina maggiormente ad un’Europa dei Popoli. Tuttavia se si vuole pensare in grande, prima è necessario partire dal “piccolo” , dal momento che è inutile parlare di un’unica Europa se non si è consapevoli del fatto che non esista nessuna Europa senza le sue Nazioni, tra cui ovviamente anche la nostra Lombardia. Perchè altrimenti non avremmo altro che l’attuale Unione Europea che non è nient’altro che un’unione burocratica delle banche che sta portando i “suoi” popoli autoctoni all’estinzione.

Qualcun’altro potrebbe dire che la battaglia di Legnano sarebbe stato un evento storico più negativo che positivo dal momento che alla lunga avrebbe portato all’eccessiva frammentazione della Grande Lombardia, impedendo qualsiasi coesione tra i cisalpini e favorendo quel tipo di mentalità per la quale l’unica cosa che conterebbe sarebbe soltanto il profitto e il proprio “orticello” (pensiamo a Lombard Street e alla parola “Lombard” che in Est Europa è sinonimo di banco dei pegni). Ma questo è un discorso che potrebbe essere fatto quasi per qualsiasi evento storico importante, anche perchè lo sviluppo economico e l’individualismo, storicamente hanno riguardato non solo la Lombardia, ma gran parte dell’Europa occidentale, portando a non pochi effetti collaterali di cui risentiamo oggi. Inoltre ad uno sguardo meno superficiale tale visione cozza con le dinamiche con cui si è sviluppata l’epopea della Lega Lombarda, dato che la battaglia di Legnano stessa e il giuramento di Pontida, abbiano avuto luogo grazie alla coesione che i lombardi riuscirono a creare in un momento critico (il Barbarossa rase al suolo Milano ricordiamo), causato a sua volta dal fatto che ai tempi gli imperatori tedeschi vedessero la Lombardia più come terra da sfruttare per la riscossione delle tasse e per la vicinanza geografica al Papato, piuttosto che una terra in cui gli abitanti andrebbero amministrati e trattati da pari. Certo, purtroppo col passare del tempo lo spirito che animò i lombardi a Legnano si affievolì, ma per noi resta comunque un ideale da ricordare e da cui prendere esempio, senza contare che a loro modo, nei secoli successivi a tale ideale ci andarono vicino Gian Galeazzo Visconti, il cui progetto fallì per una serie di avvenimenti sfortunati, e in misura minore la Serenissima, espandendosi sulla terraferma lombardo-veneta.

Qualcun’altro ancora ,  particolarmente prevenuto, potrebbe tirare in ballo il fatto che Alberto da Giussano sarebbe stato un personaggio storico leggendario, senza considerare che esso sia ispirato a Guido da Landriano, comandante militare che guidò la Lega Lombarda proprio a Legnano. Così come potrebbe tirare in ballo il fatto che Pavia, Como e Lodi abbiano parteggiato per il Barbarossa, riducendo la vicenda ad una banalissima faida tra guelfi e ghibellini. Tuttavia si tratta di “difetti” che possono essere individuati nei miti fondatori di qualsiasi Nazione vera o artificiale che sia. Difatti nessuno si lamenta più di tanto se pure la fondazione di Roma da parte di Romolo e Remo sia molto intrecciata con le narrazioni leggendarie e nessuno in particolare si lamenta del fatto che il 17 marzo del 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia mancassero all’appello non solo il Triveneto ma pure Roma stessa. Nessuno si lamenta del fatto che durante il Risorgimento molti veneti ma anche lombardi (basta pensare alla battaglia di Lissa e alla Brigata Estense) abbiano combattuto dalla parte degli austriaci, così come nessuno cerca di ridurre la contrapposizione, sempre di quell’epoca, tra i “patrioti” risorgimentali e i filo-austriaci ad una semplice faida tra giacobini e reazionari (anche se ogni tanto non sarebbe male!).

Auspichiamo quindi che il 29 maggio possa essere per davvero la festa nazionale per noi lombardi, affinchè possiamo sempre essere consapevoli del fatto che la nostra forza stia nel saper conciliare lo sviluppo socio-economico con l’amore per le nostre radici e l’attaccamento alla nostra terra seconda a nessuna, e affinchè possiamo sempre tenere a mente di non dover essere gli schiavi di nessuno.

Salut Lombardia!

 

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Primo maggio: lavoro o rinascita?

Pochi giorni fa abbiamo avuto la cosiddetta festa dei lavoratori, festa che al giorno d’oggi in Italia ha un significato alquanto ironico, vista l’endemica ed onnipresente disoccupazione, sfruttamento dei lavoratori stessi e la strumentalizzazione di tale ricorrenza da parte di chi ne rimarca sempre l’importanza senza però dare il “buon esempio”.

Per il lombardi il lavoro giocò sempre un ruolo fondamentale in quanto a strumento di crescita ed indipendenza personale ed in quanto ad uno dei fattori che permise alla Lombardia di essere una delle terre più sviluppate d’Europa sin dai tempi dei Liberi Comuni. Liberi Comuni che nel bene e nel male rappresentano uno dei pilastri fondanti della nostra identità e della nostra mentalità. Pensiamo però pure ai nostri “antichi” Avi celtici, i quali essendo stati ben lontani dall’essere quei barbari che ci descrivono, seppero sfruttare molto bene a loro vantaggio la posizione strategica della Cisalpina, situata a cavallo tra i loro fratelli d’Oltralpe e le popolazioni “mediterranee” come i liguri, gli etruschi, gli italici e i greci.

Tuttavia nel contesto odierno possiamo davvero permetterci il “lusso” di guardare al lavoro in quanto tale, come alla principale ragione di vita con tanto di retorica sulla produttività e sulla ricchezza? Attualmente la Grande Lombardia è (ancora) la terra più economicamente sviluppata ed industrializzata d’Italia, nonchè uno dei principali motori economici d’Europa, cosa di cui si sono sempre vantati i vari movimenti “padanisti” sorti negli ultimi decenni. Ma se da una parte questo può essere oggettivamente un motivo di vanto, dall’altra qual è il prezzo che dobbiamo pagare per ciò? L’essere ormai una minoranza etnica in ampie zone del nostro territorio, a sua volta diventato una delle zone più inquinate del Vecchio Continente. Questo è aggravato dal fatto che il lombardo medio mentre lavora, preferisce delegare agli altri la gestione della cosa pubblica e quindi anche del proprio territorio. E che si tratti di Roma, Bruxelles, Washington o Tel Aviv, in questo contesto ha ben poca importanza, dato che se sei un gigante economico ma un nano politico, alla lunga la tua sorte sarà quella di diventare il tipo di schiavo perfetto. Si tratta di un tipo di mentalità che affonda le proprie radici nell’epoca del dominio spagnolo di Milano, epoca in cui il cuore insubrico della Lombardia perse definitivamente qualsiasi speranza di diventare il centro politico dell’Italia centro-settentrionale (3 secoli prima Gian Galeazzo Visconti voleva riunire sotto Milano tutti i territori che facevano parte della Langobardia Maior), ritrovandosi ad essere terra di conquista da parte di varie potenze straniere. Mentalità che però proprio oggi come non mai, essendo diventata endemica per tutta la Grande Lombardia, ci ha portati alla rovina, visto che per dei popoli giovani ed affamati di conquista, non esiste nulla di più appetitibile di una preda ricca e laboriosa, ma allo stesso tempo debole e servile.

Noi lombardi come popolo abbiamo già dimostrato egregiamente di essere in grado di costruire una civiltà degna di tale nome e di rimboccarci le maniche all’occorrenza senza l’aiuto di nessuno. Tuttavia da troppo tempo ci manca quello Spirito che ci permetterebbe di difendere questa civiltà, assieme al nostro legittimo spazio vitale e i nostri interessi. Lo stesso spirito che animò i nostri Avi in quel lontano giorno a Legnano ma che ormai non ha più alcuna importanza nemmeno per quel partito che ha (aveva) la figura di Alberto di Giussano sul proprio stemma.

Che dunque l’inizio di questa stagione luminosa, che comincia con la festa “comunista” del Primo Maggio, la quale curiosamente coincide con la Notte di Walpurga e Beltane, possa rappresentare una giusta occasione in cui i lombardi finalmente capiscano che il “fatturato” può essere al massimo un mezzo ma non il fine. Perchè il fine è a sua volta rappresentato dalla rinascita della nostra Nazione Lombarda, rinascita, senza la quale anche come individui e come civiltà saremo destinati all’oblio.

 

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San Giorgio e la Lombardia, tra storia e leggenda


In occasione del 23 aprile, giorno dedicato a San Giorgio non solo patrono dell’Inghilterra, della Catalogna e della Liguria, ma anche della bandiera storica della Lombardia (l’omonima croce rossa in campo bianco), riportiamo una teoria poco conosciuta, proposta da Gilberto Oneto del suo libro “San Giorgio Patrono della Libertà”.

                                              San Zorz

Croce di San Giorgio

Croce di San Giorgio

“Giorgio sarebbe nato attorno al 280: l’ipotesi è basata sull’età presunta di poco più di vent’anni che il Santo avrebbe avuto nel 303, anno della sua morte. La datazione trova conferma nell’esame scientifico effettuato su alcune reliquie che gli sono tradizionalmente attribuite. Due sono le versioni più ricorrenti circa il luogo di nascita del Santo. La prima vuole che fosse nato a Melitene (l’odierna Malatya), importante città della Cappadocia. La cui capitale era era Cesarea Cappadociae (l’odierna Kayseri). Assieme alla Galatia (Galazia) formava una provincia dell’Impero caratterizzata dall’insediamento di tre grandi tribù celtiche: i Trocmi, i Tectosages e i Tolistobogii, i cui componenti erano conosciuti nel loro insieme come Galati. Essi hanno mantenuto una propria specificità culturale molto a lungo, come provano le lettere di San Paolo indirizzate a questa comunità cristianizzata nel I secolo. A Giorgio è attribuita la discendenza della nobile e antica famiglia degli Anicii: considerando che le classi nobili e guerriere dell’area erano sicuramente di origine galata,si deve porre in una prospettiva celtica anche la figura del Santo e in quest’ottica assumono interessanti valenze sia la ricchezza di dettagli mitologici in seguito aggiunti alla sua vicenda, che la grande fortuna che il suo culto ha trovato nell’Europa medievale.

La seconda versione vuole che il padre fosse originario di Melitene e che Giorgio invece nato a Diospolis (Lydda in Palestina, l’odierna Lod), dove sarebbe poi stato riportato per la sepoltura.”

I galati ricordiamo, furono una popolazione celtica (e quindi strettamente imparentata agli Avi celtici di noi lombardi) che nel 279 a.e.v., condotta dal loro sovrano chiamato “secondo Brenno” (il primo condusse i galli cisalpini al sacco di Roma nel 390 a.e.v.), dopo aver attraversato i Balcani, invadendo pure la Grecia, si stabilì nel centro dell’Anatolia, dando vita ad una propria organizzazione statale con capitale ad Ancyra (che sorgeva più o meno sul luogo in cui oggi si trova l’attuale Ankara) conosciuta con il nome di Galazia, ma chiamata anche Gallia dell’Est o Gallia Anatolica.

Nonostante il fatto che si dica che dopo aver subito una graduale elenizzazione (la loro lingua di ceppo celtico la conservarono per molto tempo anche dopo la conquista romana, fino al V secolo d.C.), siano stati spazzati via definitivamente dalle ondate turcomanne dopo l’anno 1000, resta curioso il fatto che nella Costantinopoli medievale, il quartiere genovese venisse chiamato “Tor Galata”, diventato “Galatasaray” con l’avvento degli ottomani.

                                              Galazzia
Chiaramente la storia del legame tra San Giorgio, i galati e la Lombardia è solo una teoria, la quale per assenza di prove concrete, potrebbe essere al massimo considerata una leggenda. Tuttavia essa appare piuttosto suggestiva se pensiamo al fatto che sia l’Anatolia centrale tardo-antica che i gallo-italici siano accomunati dall’eredità celtica e se pensiamo all’incredibile somiglianza tra la leggenda di San Giorgio, e quella del Drago Tarantasio, sconfitto dal capostipite dei Visconti che in memoria dell’impresa adottò il biscione-drago come simbolo. In entrambi i casi si tratta di un cavaliere che uccise un Drago acquatico che mangiava i fanciulli, con la differenza che la leggenda del Drago Tarantasio sia ambientata nell’ormai prosciugato Lago Gerundo, il quale fino al Medioevo si trovava lungo il corso del fiume Adda all’altezza di Lodi.

Il Biscione Visconteo affiancato alla Croce di San Giorgio, su una facciata del Castello Sforzesco di Milano

Il Biscione Visconteo affiancato alla Croce di San Giorgio, su una facciata del Castello Sforzesco di Milano

 

Comuni della Grande Lombardia aventi in qualità di vessilio e stemma comunale la Croce di San Giorgio

Comuni della Grande Lombardia aventi in qualità di vessilio e stemma comunale la Croce di San Giorgio

Arrivata a Genova prima dell’anno 1000 per mano di alcuni monaci bizantini  e da li diffusasi in seguito pure nella Lombardia Etnica (nord-ovest continentale della RI), la Croce di San Giorgio è molto diffusa tra gli stemmi delle città e dei centri minori,(come mostrato dalla cartina sopra, sempre presa dal libro di Gilberto Oneto “San Giorgio, il patrono della libertà”) avendo un’importanza storica sia in qualità di vessilio della Repubblica di Genova, che della Lega Lombarda del 1167. E ricordiamo anche che quasi un secolo prima dell’epopea di Legnano,  la bandiera con la croce rossa su sfondo bianco venne usata dei crociati lombardi, che guidati da Giovanni da Rho strapparono Gerusalemme ai saraceni nel 1099.

Nel caso della Lombardia Etnica tuttavia va precisato che siccome San Giorgio, ufficialmente non sia il patrono di città cisalpine come Milano, Vercelli o Padova, ma prevalentemente di Genova, spesso a tale vessilio cittadino vengono attribuite altre origini, come per esempio quella secondo la quale la croce rossa su fondo bianco sarebbe divenuta “di San Giorgio” solo in un secondo momento e che in principio avrebbe avuto esclusivamente la valenza di una croce cristiana “generica”. Però a parte il fatto che certe incogruenze possano essere trovate in quasi tutti i miti fondatori nazionali, appare alquanto singolare il fatto che nella Repubblica Italiana, tale bandiera sia diffusa solo in Cisalpina, in particolar modo nella Lombardia Etnica, in Liguria ed in Romagna, cioè nel nostro areale etno-linguistico gallo-italico.

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Lombardesimo e venetismo, nemici o alleati naturali?

Dal confine alpino al crinale dell’Appennino Tosco-Emiliano, l’Italia transpadana e cispadana, ha una sua specifica ragione di essere, una sua fisionomia economica, produttiva, storica e anche linguistica. La Liguria, il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia e le tre Venezie, cioè l’intera Italia settentrionale nel suo insieme, forma un’armonica unità geografica, economica, etnica e spirituale, degna di governare sè stessa.

Gianfranco Miglio

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Chiunque ci segue saprà di sicuro che il Lombardesimo, l’etnonazionalismo cisalpino, promosso da Grande Lomabardia, contrasti con il venetismo, per il fatto che il primo parli di un’unica Nazione comprendente tutto il Settentrione della Repubblica Italiana, mentre il secondo rifacendosi alla Repubblica di Venezia, vede in un ipotetico centralismo milanese una minaccia non da meno di quello romano. In effetti le due ideologie presuppongono davvero non poche differenze. Il nostro Lombardesimo è un’ideologia intrinsecamente legata al Nord-Ovest della RI, macro-area linguisticamente gallo-italica (riconosciamo tranquillamente che il raggio d’azione di Grande Lombardia sia concentrato innanzitutto nella Lombardia Etnica), di ascendenza celto-ligure. Il venetismo, dal canto suo, per ovvi motivi è legato al Nord-Est reto-venetico, linguisticamente appunto veneto e retoromanzo. Il Nord-Ovest per gran parte della sua storia è stato politicamente diviso e più spesso in balia di potenze straniere (dopo la gloriosa parentesi di Gian Galeazzo Visconti), contrapposto ad un Nord-Est plasmato negli ultimi secoli dalla medesima Serenissima Repubblica di Venezia, un potentato che nel suo periodo di massima espansione arrivò a comprendere l’odierno Veneto, Friuli, la Lombardia orientale e gran parte della costa adriatica dei Balcani. Il Nord-Ovest è sempre stato una delle terre economicamente più sviluppate d’Europa mentre il Nord-Est è tornato ad esserlo in tempi relativamente recenti dopo un lungo periodo fatto di povertà ed emigrazione. Attualmente nel Nord-Ovest l’identità locale è sull’orlo dell’estinzione a tratti in modo quasi irreversibile, mentre il Nord-Est per vari motivi l’ha conservata meglio.

Alla luce di tutto ciò, si può però dire che si tratti di due realtà completamente diverse ed incompatibili? Nel loro insieme in verità assolutamente no, dal momento che al netto delle differenze sopracitate le due realtà condividano lo stesso spazio geografico posto tra le Alpi e gli Appennini (tra la Penisola Italica vera e propria e l’Europa continentale), la similitudine etno-linguistica, la storia (l’epopea della Lega Lombarda del 1167 ne è solo un esempio)e non da ultimo le sfide legate all’attualità.  Difatti, se si può parlare di una certa incompatibilità, essa è più legata al fatto che il Lombardesimo sia interessato a promuovere la riscoperta del concetto medievale di Lombardia. Essendo tale concetto legato alla Langobardia Maior (con le dovute variazioni) ed all’intero spazio geografico alpino-padano, esso comprende pure il Triveneto andando così a contrastare con l’identitarismo venetista che appunto si ispira alla Serenissima Repubblica di Venezia, in origine un “frammento” bizantino incastonato in Cisalpina, divenuto in seguito una potenza marittima, politica e commerciale.

Con l’espansione di Venezia nella terraferma, l’unità linguistica e culturale che contraddistingueva lo spazio geografico alpino-padano venne spezzata. A riprova di ciò pensiamo al fatto che dal XV secolo in poi, in gran parte del Triveneto molte parlate simil-gallo-italiche o retoromanze (pensiamo in primis a Verona e Trieste) vennero soppiantate dal dialetto veneziano, che sta alla base della lingua veneta odierna. Tale “cluster” linguistico essendo il più latinizzato ed il più privo di influssi celto-germanici, nel contesto alpino-padano, risulta il più simile all’italiano. Del resto nel Basso Medioevo è attestata l’esistenza di una koinè lombardo-veneta (detta anche koinè lombardo-medievale o koinè padana) il volgare illustre dell’Italia settentrionale, la cui esistenza è testimoniata anche dal “padre” della lingua italiana Dante Aligheri, e da studiosi linguisti più recenti come Bernardino Biondelli, Adolfo Musaffia, Carlo Tenca, Graziadio Isaia Ascoli e Carlo Tagliavini. Quest’ultimo citò tali autori medievali come Bonvesin de la Riva, Giacomino di Verona, Uguccione di Lodi e Girardo Patecchio come esponenti principali di tale koinè linguistica.

Abbiamo quindi da una parte un identitarismo basato in primo luogo su fattori etnici, mentre dall’altra un identitarismo basato più sulle glorie di un’entità statale esistita in passato, entità statale che però non poteva dirsi esattamente uno stato etnico. Difatti sarebbe assurdo parlare di un unico popolo da Bergamo a Perasto (o anche Candia), per quanto a qualcuno ciò possa sembrare più accettabile della retorica dell’unica famiglia dalle Alpi alla Sicilia. A questo punto uno potrebbe tirare in ballo i veneti antichi, popolazione da una parte distinta dai celti cisalpini, ma dall’altra strettamente legata a questi per vincoli genetici, culturali e pure storici. Ci basti pensare ai territori che furono dei celti cenomani, corrispondenti alle odierne provincie di Brescia e di Verona, i quali vennero in seguito inseriti nella Regio romana X Venethia et Histria. Ma oltre a questo dobbiamo pure tenere a mente che il Triveneto, tra la presenza di popolazioni retoromanze (i quali ricordiamo vivono in zone sfuggite alla venetizzazione, motivo per cui pure oggi parlino i loro idiomi che rappresentano una versione “arcaica” del gallo-italico) e le varie minoranze slavofone e germanofone, è tutt’altro che etno-linguisticamente omogeneo. Infatti se da una parte può essere comprensibile la volontà dei veneti di smarcarsi dai lombardi, lo è anche la volontà dei friulani di smarcarsi dai veneti stessi. E a proposito di Friuli, non possiamo fare a meno che ricordare dell’antica presenza dei celti carni, e del profondo segno che ci lasciarono i longobardi sia in termini genetici, che in termini storici. Pensiamo al tempio longobardo di Cividale, e al fatto che fu proprio l’odierno Friuli, il luogo in cui ci misero piede i longobardi stessi condotti da Alboino, una volta entrati in Cisalpina. In poche parole, quella che fu l’Austria longobarda è parte integrante della nostra storia e della nostra identità.

Tuttavia ritengo che non sarebbe giusto liquidare il venetismo come ideologia nemica a prescindere, così come il liquidare la Serenissima come un vecchio stato-apparato commerciale “bizantino” senza alcun valore.  Noi lombardisti ovviamente preferiremo sempre ispirarci al sogno di Gian Galeazzo Visconti, il quale ad un certo punto fu ad un passo dal riunire sotto Milano ed il Ducale Insubrico l’intera Cisalpina e la Toscana, riportando così in vita quella che fu la Langobardia Maior. Però dobbiamo ammettere che con la sua morte, il Ducato di Milano non solo perse le terre conquistate ma andò gradualmente in rovina finendo per essere in balia di varie potenze straniere, cosa che culminò col disastroso dominio spagnolo, precursore di quello italo-romano in quanto a malgoverno mediterraneo. Disastroso dominio spagnolo dal quale sfuggirono Bergamo e Brescia, che sotto Venezia conobbero un discreto grado di autonomia e prosperità, al punto che con l’invasione da parte della Francia napoleonica, molti lombardi orientali, come Moscheni ed il brigante bergamasco Paci Paciana entrarono nella storia (storia trascurata dalla storiografia italiana) come rivoltosi anti-francesi, dimostrando fino all’ultimo la loro avversione nei confronti degli occupanti giacobini, e la loro fedeltà alla Repubblica di San Marco. Senza dubbio, la Serenissima va anche ommaggiata per il ruolo fondamentale che svolse nel contrastare l’avanzata ottomana nel Mediterraneo.

Quindi sono del parere che il “longobardo” lombardesimo e il “bizantino” venetismo non debbano essere per forza visti come due pensieri che si escludono a vicenda a prescindere. Non solo perchè i nostri “bizantini” ce li abbiamo pure noi gallo-italici in Romagna così come il Triveneto ha i propri “crucchi” tra minoranze germanofone e zone piuttosto longobardizzate, andando a formare così una nostra diversità che sarebbe una manna dal cielo in confronto a quella che siamo costretti a subire oggi, ma anche in virtù del fatto che condividiamo lo stesso spazio vitale e che veniamo oppressi allo stesso modo sia da Roma che da Bruxelles, che da altri scherani del mondialismo.

Nel contesto europeo, un etnostato alpino-padano, senza zavorre di vario tipo, avrebbe la potenzialità di essere un gigante economico, il quale pure in altri ambiti unirebbe il meglio dell’Europa continentale con il meglio dell’Europa mediterranea, e che tra le altre cose svolgerebbe la funzione di ponte pure tra l’Europa occidentale e quella centro-orientale, aspirando ad un ruolo di prim’ordine nella rinascita identitaria del Vecchio Continente. Che questo sia realizzabile o no, ritengo comunque che si tratti di una direzione verso la quale varrebbe la pena muoversi. Che poi questo stato debba essere unitario, federale o anche confederale, ora come ora è giusto che sia materia di discussione. Così come è materia di discussione, se i popoli alpino-padani debbano ottenere la libertà, marciando sin da subito tutti insieme, oppure se per tale fine, devono puntare ad un eventuale effetto domino.

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Perchè il Lombardesimo è ancora attuale

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Per rispondere a tale quesito inziamo col porci la seguente domanda:

Quali sono i principali aspetti negativi del fatto che la Lombardia e la Cisalpina intera facciano parte dello stato italiano?

  1. Sfruttamento economico            

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La Regione Lombardia (l’ente artificiale che comprende solo una parte delle terre storicamente lombarde, che noi chiamiamo “Pirellonia”), assieme ad altre regioni settentrionali della Repubblica Italiana, rispetto al Centro-Sud, produce di più e riceve di meno in termini economici. Il referendum sulla cosiddetta autonomia differenziata, che ha avuto luogo nella “Regione Lombardia” e in Veneto il 22 ottobre 2017, per quanto imperfetto ed incompleto, da un punto di vista lombardista “radicale” è comunque legato all’oggettiva necessità di smussare questa grave imperfezione dello stato italiano. Imperfezione derivata a sua volta dal fatto che in Italia, vige il modello socio-economico per il quale al Centro-Sud spetta la politica e la cultura, mentre al “Nord” il lavoro e l’economia. Modello economico che si è dimostrato fallimentare, soprattutto negli ultimi tempi, in cui per lo sviluppo economico e per la qualità della vita, la Repubblica Italiana si ritrova ad essere superata pure da alcuni paesi dell’Est Europa.

2. Distruzione dell’identità della Lombardia e dei popoli autoctoni della Cisalpina

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Dato che la Repubblica Italia si fonda sul sopracitato modello per il quale al Sud spetta la politica e la cultura, mentre al “Nord” gli affari, non occorre una mente geniale per comprendere che da lombardi/cisalpini sia necessario riscoprire la propria identità popolare ed etno-linguistica.Identità che lo stato italiano e i nostri conterranei in combutta con esso, tramite decenni di propaganda e di migrazioni “interne” ed extraeuropee, cerca in tutti i modi di eradicare, ahinoi, per ora con successo. A causa di questo i lombardi etnici ( i gallo-italici ad esclusione dei liguri e dei romagnoli) e i gallo-italici in generale, si ritrovano ad essere una minoranza nella propria terra, con la propria lingua e la propria cultura sempre di più relegate all’oblio. Si tratta di una conseguenza non tanto dei flussi migratori in sè, ma del fatto che nel corso degli ultimi decenni i lombardi stessi siano stati convinti che rinunciare alla propria identità popolare sarebbe un atto progressista ed umanitario. Atto che a sua volta sarebbe necessario per aprirsi al mondo, per andare d’accordo con tutti e per togliersi il peso legato ad un passato da lasciarsi alle spalle. Tutto ciò prima in nome dell’Unità d’Italia e successivamente anche del villaggio globale, perchè si sa, siamo in Europa e non nel villaggio di “Asterix”. In tale ottica, il Lombardesimo, portato avanti dal movimento d’opinione Grande Lombardia e da Paolo Sizzi, il suo più noto Padre Fondatore, si propone come alfiere di una controcultura “neopadanista”, volta a far rinascere l’identitarismo lombardo e cisalpino, dopo che la suddetta causa venne ignobilmente tradita da quelle forze politiche che in principio avevano il compito di portarlo avanti. La Lega Nord dei primi tempi fece l’errore di voler creare la Padania prima che creare i padani. Noi lombardisti invece siamo consapevoli del fatto che per creare la Grande Lombardia, vadano prima creati, o meglio ricreati i lombardi.  Un popolo che non conosce il proprio passato non può avere un proprio futuro e a quei lombardi che non vogliono accettare tale verità, non resterà altra scelta che essere dei ciechi consumatori atomizzati, in balia di altri popoli più forti, uniti e consapevoli di chi sono e dei propri interessi.

3. Distruzione del territorio della Cisalpina/Grande Lombardia

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La Lombardia è una Nazione posta a cavallo tra il Mediterraneo e l’Europa continentale, da secoli rappresentante uno dei motori economici del vecchio continente. L’essere meta d’immigrazione da mezzo mondo e la perdita dell’identità locale, non sono l’unico effetto collaterale di tutto ciò, dal momento che sia noi che le generazioni future, dovranno fare fronte pure alla progressiva distruzione del Suolo e dell’ecosistema della Grande Lombardia. La Pianura Padana ormai appartiene tristemente alla categoria delle regioni più inquinate d’Europa, non solo per la qualità dell’aria o per il fatto che “i gamber pescaa in del Lamber” siano solo un lontano ricordo, ma anche per il fatto che la disastrosa gestione del nostro territorio, da parte dello stato italiano abbia portato ad una spaventosa cementificazione e ad un consumo del suolo spropositato e senza criteri sostenibili.

Tutto ciò che abbiamo elencato qui sopra era attuale sia 20-30 anni fa che al giorno d’oggi. Semplicemente trattandosi di tematiche scomode per chi, oggi come allora, deteneva e detiene il potere, sono diventate un argomento tabù nel dibattito politico e culturale attuale. Negli ultimi tempi l’oppressione ed il marciume del cosiddetto sistema-mondo si è fatto più palese, diventando sempre più distopica ad un velocità impressionante. Tuttavia è anche e soprattutto per questo che noi lombardi fieri di esserlo, appartenenti ad una realtà europea “in via d’estinzione”, abbiamo il dovere morale di resistere nella nostra ultima trincea, a sua volta rappresentata dal comunitarismo, dall’econazionalismo e dall’etnonazionalismo cisalpino, promossi da Grande Lombardia. Perchè se non sai da dove vieni, non puoi capire dove stai andando, dal momento che non sai dove ti trovi.

Salut Lombardia!

 

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“Prendetevela con i padroni e non con i migranti”

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Da parte di molti ambienti pseudoribelli (come per esempio i centri sociali) e anche “complottisti” capita spesso di sentire la critica secondo la quale sarebbe errato prendersela con l’immigrazione di massa e con il degrado che con essa consegue, perchè i veri oppressori sarebbero i politici oppure gli esponenti della finanza internazionale, i quali istigando all’odio nei confronti degli immigrati alimenterebbero la guerra tra poveri.

Ma se anche prendessimo per vera la versione secondo la quale saremmo nel pieno di una guerra tra poveri sembra proprio che in Occidente questa guerra stia ora andando palesemente a sfavore della classe medio-bassa autoctona, visto che la crescente disoccupazione colpisce principalmente essa, e ovviamente anche perchè gli autoctoni stessi sono sempre più sostituiti dai nuovi arrivati in quartieri che ricordano ormai delle casbah o dei ghetti criminali.

Tutto ciò non potrebbe accadere se gli esponenti delle orde provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente non fossero difesi e sostenuti dai media di regime e dalle magistrature che spesso e volentieri li lasciano praticamente impuniti anche dopo gravi crimini, infliggendo però pene severe non solo ai cosidetti fascisti ( la legge Mancino sarebbe una bufala?), ma anche agli autoctoni che reagiscono al degrado causato dalla società “multiculturale”.

Gli invasori afro-asiatici non potranno mai essere nostri alleati contro il “capitale” (senza considerare che nel nostro caso il nemico è anche lo stato italiano), semplicemente per il fatto che loro sono alleati dell’alta finanza (sfido chiunque a provare il contrario), rappresentata anche da ONG e altre organizzazioni pseudoumanitarie, essendo strumentali ad essa. Ai padroni l’invasione è utile sia per la storia della forza lavoro a basso costo, che per la storia dei voti da guadagnare per alcuni partiti. Agli invasori stessi invece questa alleanza torna utile per conquistarsi lo spazio vitale in Europa a nostro danno. Senz’altro è vero che una società individualista e cosmopolita è destinata a soccombere quando si scontra con società più tradizionaliste e aggressive, ma è anche vero che dalla loro parte abbiamo sia il governo corrotto italiano che i vari enti sovranazionali.

Se qualcuno invece vuole parlare dell’Occidente che scatena guerre nei loro paesi d’origine, vorremmo anche ricordare l’esistenza di paesi islamici che sono alleati della NATO, cosa che però non gli impedisce di finanziare l’islamizzazione dell’Europa. Quindi andando contro l’immigrazione si va inevitabilemente anche contro i padroni. Non ha alcun senso prendersela con i mandati ma vedere nei loro soldati dei probabili alleati. Altro che “fascisti servi del capitale”.

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