Le lingue lombarde

Dopo aver tracciato velocemente un quadro d’insieme sulla situazione geolinguistica della Lombardia, è ora giunto il momento di continuare la nostra disamina andando ad analizzare un poco piú approfonditamente le 4 lingue lombarde.

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In queste pagine estratte dal vocabolario di milanese-italiano del Banfi (1857) si vede chiaramente come fino al Risorgimento a nessuna persona sensata pareva strano definire i dialetti piemontesi o quelli “emiliani” come varianti della lingua lombarda, così come a nessuno sembrava strano chiamare lombardi i piemontesi o gli emiliani. Non a caso Reggio fu “di Lombardia” fino al 1861, anno in cui la città venne infaustamente rinominata “nell’Emilia” dai Savoia.

 

 

Come evidenzia chiaramente la cartina sopra riportata, possiamo individuare quattro essenziali varianti del lombardo: centrale (insubrico indicato in blu), occidentale (piemontese indicato in giallo), meridionale (emiliano o bassolombardo indicato in rosso) e orientale (indicato in verde, comprendente principalmente il bergamasco e il bresciano).

Il lombardo centrale è sicuramente la variante con il maggior numero di locutori (stimabili attorno ai quattro milioni) e forse quella con la maggiore estensione territoriale. Nonostante la presenza di tre differenti sostrati (insubrico, lepontico e retico) e la relativamente ampia diffusione, è caratterizzato da una notevole intercomprensibilità, che va naturalmente ricondotta alla forte egemonia politica, religiosa e culturale di Milano. È inoltre interessante notare che, confinando con l’alemanno a nord e con le altre tre loquele lombarde sugli altri punti cardinali, il lombardo centrale è la variante che ha subito meno influenze linguistiche straniere, e conseguentemente quella probabilmente più vicina all’originaria koinè lombarda parlata nel Medioevo.

La seconda variante più parlata è il lombardo meridionale (circa tre milioni di parlanti) e probabilmente la maggiore a livello di estensione territoriale. I dialetti meridionali hanno un discreto sostrato celtico grazie ai celebri Boi e variano sensibilmente lungo lo scorrere del Po al punto che dialetti come il piacentino e vogherese sono molto più simili ai dialetti del lombardo centrale che non ad altri vernacoli meridionali. Va inoltre osservato che, a parte la zona occidentale, il resto dei dialetti meridionali è privo delle vocali turbate, probabile segno di scarsa penetrazione germanica durante il medioevo.

Difatti nonostante il fatto che comunemente pure le loquele ferraresi e bolognesi vengano considerate emiliane, esse per molti versi sono più romagnole che lombarde. A testimoniarlo sono per esempio la negazione preverbale e l’uso della particella “brisa” invece del “mia”. Del resto in quelle terre la dominazione longobarda fu piuttosto corta e superficiale.

Nonostante il ridottissimo territorio di diffusione, la terza variante per parlanti è il lombardo orientale (due milioni abbondanti). La ragione va chiaramente ricercata nel fatto che Bergamo e Brescia erano territori relativamente poveri rispetto al resto della Lombardia e ciò ha consentito loro di ritrovarsi con le percentuali di popolazione foresta più basse. Sebbene vi siano due importanti e differenti sostrati (orobico a Bergamo e cenomane/camuno a Brescia) i due dialetti sono piuttosto simili e facilmente intercomprensibili. Sebbene si siano perse le vocali lunghe di derivazione germaniche (influenza del veneto?), a livello fonetico entrambi i dialetti tendono ad aprire notevolmente le vocali (come il milanese d’altronde) e a far svanire parecchie consonanti (sopra a tutte “v” e “n”).

Grazie alle numerose ondate di italiani meridionali immigrati a Torino e dintorni fino agli anni ’80, la variante con il minor numero di parlanti resta quella occidentale (poco più di un milione e mezzo). I dialetti occidentali hanno indubbiamente un importante sostrato celto-ligure cui si è aggiunta una consistente influenza provenzale per via dei legami politici che i Conti di Savoia crearono espandendo il loro dominio nell’alta Pianura Padana. Caratteristiche tipiche del cosiddetto piemontese sono indubbiamente la famosa vocale centrale media (tradizionalmente scritta con il grafema ë), l’uso della negazione di derivazione francese “pà” e la diffusione di una koinè affermata conosciuta dalla maggior parte degli occidentali.

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Adalbert Ronchee

Informazioni su Adalbert Ronchee

Classe 1988. Ho ottenuto la maturità liceale nell'indirizzo scientifico tecnologico e la laurea in economia nel curriculum management. Presidente del Movimento Nazionalista Lombardo dalla fondazione allo scioglimento. Attuale Presidente di Grande Lombardia dopo esserne stato Segretario dalla fondazione.
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2 risposte a Le lingue lombarde

  1. Gioele Bazzana scrive:

    Ho una domanda:esiste il continuum emiliano-romagnolo che imparenta queste due lingue perciò non dovrebbe essere anche il romagnolo una lingua lombarda?E più generalmente,perché solo piemonte,emiliano e lombardo rientrano nelle lingue lombarde e non anche il resto delle lingue galloitaliche?

    • Lissander Cavall scrive:

      In teoria a livello prettamente linguistico pure il romagnolo potrebbe essere definito come una lingua lombarda. C’è però un problema a livello di definizione, dal momento che il termine “Romagna” nacque per indicare quelle terre cisalpine restate sotto il dominio bizantino, in contrapposizione a quelle che invece divennero parte intregrante del Regno Longobardo, a cui dobbiamo il nostro etnonimo “Lombardia”. Il ligure invece si distacca maggiormente anche nella sostanza dagli altri idiomi gallo-italici, al punto che molti linguisti, pur ritenendolo un idioma cisalpino, lo escludono da tale categoria. Una situazione simile vale anche per il veneto. Pure nei vari vocabolari/manuali linguistici/dialettali, precendenti al 1861, il piemontese veniva definito “Alto Lombardo”, l’emiliano “Basso Lombardo”, mentre il romagnolo e il genovese come idiomi a sè.

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