Questione di decisioni

Sarebbe opportuno che i governi europei chiarissero ai propri cittadini quali sono le politiche che intendono adottare riguardanti l’immigrazione.

Finora infatti abbiamo assistito solo a un susseguirsi di sbarchi quasi ininterrotti dal 2011 ad oggi, a fronte dei quali nessuno dei governi interessati ha saputo esprimere alcuna volontà d’azione, ne alcun piano strategico.

L’operazione “Mare Nostrum” inaugurata nel 2013 dal governo Letta non è, a parte il nome e un dispiegamento di risorse maggiore, nulla di nuovo rispetto ai precedenti provvedimenti, già messi in atto nei decenni passati per far fronte agli sporadici sbarchi sulle nostre coste (con la differenza che allora erano immigrati, oggi sono migranti) prima dell’accordo con la Libia di Gheddafi.

In sostanza, solo un’operazione di salvataggio in mare aperto.

Cosa fare in seguito, cioè quando questa gente sarà ufficialmente in mano nostra, rimane un’incognita, anzi un mistero.

Quello che i nostri governanti hanno omesso di spiegare è, primo, qual è il principio che rende Giusta l’idea di “inglobamento” (termine credo più adatto di integrazione) oggi imperante, secondo, cosa realmente si dovrebbe fare per mettere in atto questo principio.

Personalmente infatti non trovo alcun nesso logico tra il salvare una persona in alto mare e il decidere successivamente di integrarla nel tessuto sociale.

L’una è una decisione umana, l’altra politica. (cit. Della Loggia).

È lecito chiedersi dunque perché la Lombardia, come tutta l’Europa, avrebbe il bisogno o il dovere di inglobare decine di milioni di extracomunitari nella sua realtà politica, economia e sociale.

Poiché nulla di tutto ciò è stato fatto presente all’opinione pubblica, questa rimane inconsapevole del proprio diritto d’opinione e d’azione, aspettando apatica che uno qualsiasi dei politicanti sul palcoscenico si presti a fornire una soluzione al problema.

Contemporaneamente, i nostri rappresentanti cercano di destreggiarsi tra le vaghe aspettative di una popolazione già esausta per problemi nostrani, che certamente non può reggere anche quelli importati, e coloro i quali invece, evidentemente, vogliono che lo status quo rimanga inalterato.

È sulla linea di questo diktat che oggi la politica si muove.

Nessun politico, per quanto progressista e integrazionista, ha mai proposto opere concrete per rendere gli sbarchi più sostenibili (come potrebbero essere la costruzione di nuovi campi di accoglienza) poiché conscio dell’estrema impopolarità di tali decisioni.

In compenso, gli esponenti della sedicente destra liberale non si sono mai pronunciati contro questo Esodo, limitandosi a riconoscere sí l’esistenza di un problema, senza però dirci quale sarebbe la loro, seppur provvisoria o personale, soluzione.

Trovandosi nel mezzo, i due gruppi contribuiscono in egual misura al perpetuarsi di questo paradosso.

Recentemente si è discusso anche sulla possibilità che un clandestino non abbia obbligo di residenza nel Paese in cui gli sono state prelevate le impronte.

Si è cercato quindi di estendere la responsabilità delle future scelte politiche anche a quei paesi UE che non hanno un problema diretto di sbarchi, ma che in qualche modo ne sono chiamati in causa.

Se il principio può considerarsi giusto, concretamente un provvedimento in tal senso sarebbe d’ausilio come lo spegnere un incendio appiccandone altri.

Mentre i partiti italiani si dimenano convulsamente per dare l’illusione di un processo politico in movimento la Nazione lombarda soffoca nel perbenismo, dimostrando all’Europa, a coloro che appoggiano questo Esodo e soprattutto a sé stessa di non potersi nemmeno permettere un giudizio, un’idea di ciò che essa ritiene giusto.

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